Il Perfezionismo e i Disturbi del Comportamento Alimentare
“Il perfezionista è ammalato di spirito di gravitÃ
e andare verso la perfezione significa uscire dalla vita o, ancora peggio, non entrarci mai”
(Ricardo Peter, 1995).
In quest'articolo la dottoressa Giovanna Pascolo, psicologa presso il centro Medicina e Nutrizione in Lombardia, ci descrive i tratti del perfezionista in relazione ai Disturbi del Comportamento Alimentare. Origini e sviluppi di un disturbo che tocca molteplici aspetti della vita.
Una “tirannia del dovere”, una sorta di schiavitù dell’essere, sottoposto alle pressioni di dettami interiori (dictat), auto o etero-imposti, molto rigidi e determinati da un Sé idealizzato (conseguimento della perfezione in ogni ambito significativo per la persona, ricerca verso la realizzazione di obiettivi ambiziosi, ardui, se non inaccessibili, rabbia e frustrazione come reazione a un fallimento, identificazione di sé con il fallimento stesso) la cui lotta col Sé reale rappresenta il conflitto interiore della vita, così il perfezionismo si presenta quale costrutto in passato inteso solo come unidimensionale oggi inserito in un’ottica multidimensionale. Nel primo caso si stratta di standard prestazionali autoimposti esageratamente elevati e il cui mancato soddisfacimento conduce al fallimento, mentre nella visione multidimensionale, oltre a questi aspetti intrapersonali si tiene contro soprattutto di variabili interpersonali, e che hanno un’importanza cruciale nel determinare le difficoltà di adattamento delle persone con perfezionismo.
“Io devo cercare di essere sempre perfetto”, “Le persone penseranno male di me se commetterò un errore”, queste tra le credenze disfunzionali di un perfezionista.
Il perfezionismo si presenta come un costrutto psicologico a doppia valenza, “normale” e “nevrotico”: il primo implica lo stabilire da parte del soggetto, standard prestazionali molto elevati il cui raggiungimento provoca un forte senso di soddisfazione, migliorando la percezione di sé, proprio perché la persona s’impegna in attività che richiedono sforzo, ma sentendosi libera di abbandonare l’attività quando lo ritiene opportuno; il secondo invece, disfunzionale o negativo, è tipico di chi non riesce ad essere soddisfatto della propria performance, considerando di poter fare sempre meglio, impegnandosi con maggior sforzo volto soprattutto all’evitamento di possibili fallimenti. Gli stati d’animo dati dal tentativo, nonché forte bisogno, di evitare fallimenti, possono promuovere l’insorgere di stress, difficoltà nel processo di socializzazione con altri individui e difficoltà di accettare giudizi e/o critiche da parte di altri, con la tendenza alla rinuncia di compiti ritenuti difficili.
Lo schema mentale dell’individuo con perfezionismo è quindi antitetico, contraddittorio, si muove cioè tra due antipodi, imperturbabilità e apatia da una parte e fervore e propositività dall’altra. L’associazione fra entrambe le dimensioni e l’intensità della sintomatologia vengono evidenziate per la prima volta nei Disturbi del Comportamento Alimentare: alti livelli di perfezionismo positivo spiegano sintomi quali insoddisfazione corporea e forte desiderio di magrezza, mentre alti livelli di perfezionismo negativo insieme con bassi livelli di perfezionismo positivo spiegano la presenza di sintomi bulimici.
Il perfezionismo in relazione ai disturbi del comportamento alimentare può agire sia come fattore di rischio (maggiormente per i sintomi bulimici) che come fattore di mantenimento, ma in quest’ultimo caso presenta un effetto più significativo. La natura stessa del disturbo alimentare, tendendo verso un impossibile standard di magrezza, è perfezionista.
Il perfezionismo, come spesso accade in psicopatologia, affonda le sue radici nell’ambiente soprattutto quello familiare, nelle interazioni con genitori altrettanto perfezionisti ed esigenti, tanto che Galimberti lo definisce come la
Tendenza a chiedere a se stessi o agli altri delle prestazioni al massimo delle proprie o delle altrui disponibilità , se non al di sopra delle rispettive capacità allo scopo di soddisfare delle aspirazioni che la psicoanalisi vede originate dalle ambizioni dei genitori (perfezionismo parentale) e poi introiettate dall'ideale dell'Io che si fa esigente nei confronti dell'Io, con la possibilità di generare una situazione conflittuale tra le mete prefissate e le possibilità a disposizione per attuarle.
Non di rado mi arrivano in studio pazienti, per lo più ragazze, con condotte alimentari disfunzionali e manifestazioni comportamentali perfezioniste che portano situazioni familiari contraddistinte da un perfezionismo negativo in uno o in entrambi i genitori, molto più frequenti sono i quadri nei quali sono dipinte ragazze con anoressia nervosa staccanoviste e perfezioniste nel loro percorso di studi e che hanno madri esigenti molto spesso anaffettive. La psicoanalisi ha largamente definito questo processo come un’identificazione proiettiva del genitore sul figlio, secondo cui il genitore avanza nei confronti dei figli delle aspettative perfezionistiche deputate a soddisfare le sue frustrazioni, alle quali il figlio si sente obbligato a rispondere.
Il lavoro che viene svolto con pazienti con disturbi del comportamento alimentare è chiaramente multidisciplinare, prevede l’attivazione di una rete di professionisti tra i quali medici, nutrizionisti, psicologi/psicoterapeuti, che mettono la loro professionalità al servizio del paziente e dove il lavoro dello psicologo consiste in un percorso individuale sul paziente e in molti casi esteso anche alla famiglia. Il lavoro che svolgo sul perfezionismo consiste in un processo di individualizzazione volto a rafforzare il paziente nel liberarsi dei dictat attraverso i quali da tempo il perfezionismo ha preso forma, in modo da garantire autonomia in un clima di benessere interiore incalzato da comportamenti funzionali.
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