Header Ads


I social media possono aggravare i tratti narcisistici


L’assenza di una censura sociale ‘diretta’ permette lo sviluppo di alcuni caratteri tipici della personalità narcisistica, come presentarsi in modo grandioso e realizzare fantasie di onnipotenza. E così, più postiamo immagini sui social e più diventiamo narcisi. Lo dimostra un gruppo di scienziati di Swansea (Regno Unito) e Università Statale di Milano che in un lavoro pubblicato The Open Psychology Journal associa l’uso eccessivo dei social in cui si postano immagini con l’aumento di tratti narcisistici. 

In un lavoro pubblicato su The Open Psychology Journal e svolto da un gruppo di scienziati di Swansea (Regno Unito) e Università Statale di Milano i ricercatori hanno studiato per un periodo di quatto mesi i cambiamenti di personalità in 74 soggetti di età compresa tra 18 e 34 anni, mentre in parallelo ne valutavano le modalità di uso dei social. I risultati hanno mostrato che più i soggetti usavano i social per postare immagini, più mostravano tratti narcisistici. 

Nella letteratura scientifica vi erano già indicazioni circa i collegamenti tra narcisismo e uso di post visivi su canali social come Facebook – spiega il Professor Phil Reed, Swansea University, primo autore dello studio – tuttavia, fino alla pubblicazione di questa ricerca, non si sapeva se i narcisisti usassero maggiormente questa modalità sui social, né tantomeno se l’uso delle varie piattaforme potesse associarsi ad un successivo aumento del narcisismo. I risultati dello studio suggeriscono che hanno luogo entrambi i fenomeni, evidenziando in particolare come postare selfie possa effettivamente aumentare il narcisismo.

Il narcisismo è una caratteristica della personalità che può comportare la ricerca di una grandiosa visibilità, presunzione di superiorità e tendenza a strumentalizzare gli altri. Nei partecipanti con un uso problematico dei social legato ai post visivi, in quattro mesi si è osservato un incremento del 25% dei tratti narcisistici. Questo aumento ha portato molti di loro a superare il cut-off clinico per il Disturbo Narcisistico di Personalità.

Il Professor Reed aggiunge che:
se consideriamo il nostro campione come rappresentativo della popolazione, cosa piuttosto realistica, significa che circa il 20% delle persone potrebbe essere a rischio di sviluppare tratti narcisistici, associati a un uso problematico dei social in modalità visiva. 
L’uso dei social centrati sulle modalità visive – aggiunge il Professor Roberto Truzoli, del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche "L. Sacco" dell’Università degli Studi di Milano, supervisore della ricerca – può enfatizzare la percezione degli individui narcisistici di essere al centro dell’attenzione. L’assenza di una censura sociale ‘diretta’ può dar loro l’opportunità di esprimere alcuni tratti della personalità narcisistica, presentarsi in modo grandioso e realizzare fantasie di onnipotenza. 

Lo studio ha altresì rilevato che chi invece usa i social soprattutto per postare contenuti verbali, come su Twitter, non presenta gli stessi effetti. Tuttavia, in questo secondo gruppo, i livelli iniziali di narcisismo consentivano di prevedere un aumento di questa modalità di utilizzo dei social, nel tempo. Più erano narcisisti all’inizio, più contenuti verbali avrebbero postato in seguito. Tutti i partecipanti allo studio, salvo uno, usavano i social. Il tempo di permanenza online era di circa 3 ore al giorno in media, escluso l’uso ai fini lavorativi. Alcuni hanno dichiarato di usare i social anche 8 ore al giorno, per scopi non professionali. Il 60% del campioneusava Facebook, il 25% Instagram e il 13% Twitter o Snapchat. Più dei due terzi dei partecipanti usavano i social soprattutto per postare immagini.

Secondo il Professor Reed
i soggetti coinvolti usavano i social prevalentemente in modalità visiva e il canale prediletto era Facebook. Ciò suggerisce che, probabilmente, a meno che non si riconoscano i pericoli insiti in questa forma di comunicazione, si potrà assistere a una crescente diffusione del disturbo di personalità. 

Lo studio è stato condotto dal Professor Phil Reed e Nazli Bircek, Swansea University; Dr. Lisa A. Osborne, Abertawe Bro Moragannwg University Health Board; Dr.ssa Caterina Viganò e Professor Roberto Truzoli, Università degli Studi di Milano



Nessun commento