Dieta senza glutine, a chi è veramente utile?
Tra diete prive di glutine ovvero celiachia, sensibilità al glutine non celiaca e diete prive di glutine fai da te, cresce il numero di chi si preoccupa dell'intolleranza al glutine. È necessario per questo fare oggi un po’ di chiarezza sull’argomento dal punto di vista medico.
In Italia ad oggi sono stati diagnosticati 198.427 celiaci, un fenomeno in crescita del 9% su base annua secondo l'ultimo rapporto del Ministero della Salute. La crescita della commercializzazione di diete e prodotti privi di glutine dimostra poi che sono in tanti oggi a preoccuparsi dell'intolleranza al glutine, anche se in molti non sanno che si può soffrire veramente di celiachia o si può essere solo sensibili al glutine. Il gruppo di ricerca dell’Università di Genova, diretto dal Prof. Antonio Puccetti, in collaborazione con il gruppo di ricerca diretto dal Prof. Claudio Lunardi e dalla Dr.ssa Dolcino, ha recentemente pubblicato uno studio sulla sensibilità al glutine non celiaca, che ha rivelato che la malattia potrebbe avere un’origine autoimmune, come la malattia celiaca.
"A seguito del nostro comunicato abbiamo ricevuto molte richieste da persone che seguivano una dieta priva di glutine. Molti tra i soggetti con presunta sensibilità al glutine non celiaca, magari autodiagnostica tramite Google, si sono quindi chiesti se avessero una malattia autoimmune” racconta il Prof. Puccetti. E’ necessario per questo fare chiarezza su alcuni punti con l'aiuto del professore:
1) Innanzitutto specifichiamo che la celiachia è una malattia autoimmune, che provoca un'infiammazione cronica all'intestino tenue, dovuta a una intolleranza al glutine. Si tratta di una malattia molto frequente che colpisce una persona ogni 100-150 circa in Nord America ed Europa. L'incidenza stimata in Italia è alta visto che secondo l'Associazione italiana celiachia (Aic), i celiaci italiani potrebbero essere 600mila. Ma si arriva ad una diagnosi solo in un caso ogni sette persone affette da celiachia. Attualmente sono stati diagnosticati 198.427 casi (rapporto del Ministero della Salute), con un incremento annuo molto alto pari al 9%, dovuto, pare, soprattutto al perfezionarsi degli screening. La celiachia è quindi l’intolleranza alimentare più frequente e la stima della sua prevalenza si aggira intorno all’1% (link: www.epicentro.iss.it/problemi/celiachia/epidItalia.asp).
2) La sensibilità al glutine non celiaca è una nuova entità clinica che comprende tutti quei casi in cui un paziente ha sintomi caratteristici della celiachia, e trae beneficio da una dieta priva di glutine, nonostante gli accertamenti medici escludano la presenza di malattia celiaca o di allergia ai cereali. La sensibilità al glutine sembra essere molto più frequente della celiachia e si ritiene colpisca il 6-10% della popolazione. Le manifestazioni cliniche comprendono sintomi gastrointestinali e/o extraintestinali che regrediscono con l’eliminazione di glutine dalla dieta. Per entrambe le situazioni esistono precisi criteri diagnostici per esempio per la celiachia esistono dei test di laboratorio che permettono di fare diagnosi quali la presenza di anticorpi anti-transglutaminasi e presenza del gene predisponente DQ2/DQ8. Per la sensibilità al glutine non celiaca la diagnosi è di esclusione, vale a dire dopo aver escluso che il paziente sia affetto da celiachia o da allergia al grano: in questo caso c’è un preciso iter diagnostico che deve essere eseguito da personale medico in centri specialistici.
Diverso è il caso di chi da se o su consiglio di un’amico o perché ha letto articoli su internet, intraprende una dieta priva di glutine perché ritiene che il glutine faccia male e vada eliminato dalla dieta. “Ci sono varie opinioni in proposito riguardo il fatto se faccia bene o meno eliminare il glutine dalla dieta. Personalmente penso che abbassare il contenuto di glutine in soggetti con determinate patologie infiammatorie/autoimmuni sia una scelta condivisibile, ma dovrebbe essere fatto dietro consiglio medico” specifica il prof. Puccetti. “Se si decide di fare da sé e di privarsi di pasta e pane senza una ragione specifica non si può però sostenere che sia una scelta giusta e salutare. Anche perché oggi ognuno vuole essere medico, farsi la propria diagnosi e darsi la propria terapia, parlando di cibo non sempre a proposito” conclude il professore.
In virtù di ciò è il concetto rimane sempre lo stesso, il medico resta in ogni caso indispensabile e insostituibile per una diagnosi seria e corretta. Privarsi di pane e pasta può essere una scelta di vita, non necessariamente una scelta razionale da un punto di vista medico.
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